È una delle nostre artiste più eclettiche, Maria Rosaria Omaggio ha iniziato giovanissima, a soli 16 anni, in una Canzonissima condotta da Pippo Baudo. Subito dopo ha partecipato a film cult come: “Roma a mano armata”, “Squadra antiscippo”, “Culo e camicia”. Ha continuato con il cinema, ma anche con sceneggiati di successo, diretta da Daniele D’Anza, Luigi Magni, Fabrizio Costa, Giuseppe Ferrara. Plurilingue, ha recitato in Spagna, Francia, Stati Uniti. Ha affiancato, tra gli altri: Mario Scaccia, Erland Josephson, Franco Nero, Paco Raball, Vittorio Mezzogiorno, Mariano Rigillo, Renato Pozzetto, Tomas Milian, in film e spettacoli teatrali di successo. É suo “Chiamalavita”, un recital in concerto su opere e canzoni di Italo Calvino, con i poco noti testi, contro la guerra, del grande scrittore, cui ha partecipato Grazia Di Michele, più volte replicato in Italia, e presentato al DHL Auditorium delle Nazioni Unite a New York, nell’ambito di un progetto nato per sostenere l’Unicef, di cui è ambasciatrice, per aiutare i bambini vittime dei conflitti armati. Negli ultimi anni è stata impegnata su vari fronti: al cinema, con la partecipazione al film di Woody Allen “To Rome with love”, e nel ruolo di Oriana Fallaci, nel film di Andrzej Wajda su Lech Walesa, a teatro con il suo recital “Omaggio a voi”, con “Diatriba d’amore contro un uomo seduto” di Gabriel Garcia Màrquez, diretta da Alessandro D’Alatri, e in veste di regista e produttrice de “Il balcone di Golda”, dove ha diretto Paola Gassman nel ruolo di Golda Meir. Di nuovo come regista, interprete e autrice in “Scarpe rosse”, dedicato alle donne vittime di violenza, rappresentato con successo allo scorso Napoli Teatro Festival. Per finire, tante interpretazioni in fiction tv di successo come: “A fari spenti nella notte” di Anna Negri.
Un incontro necessariamente virtuale il nostro, per parlare di spettacolo, ma anche di una delle sue più grandi passioni: il Tai Chi Chuan, che la Omaggio pratica da anni.
Maria Rosaria Omaggio è attrice, regista e autrice. In quale ruolo si trova più a suo agio?
Non parlerei di ruoli, ma di esigenza di comunicazione creativa. C’è un libro di Jean Cocteau che mi ha aiutato a comprenderlo: “La difficoltà di essere”. Anche Cocteau era un artista che si cimentava in varie forme e mezzi espressivi, e a chi gli chiedeva perché e come trovasse l’ispirazione per fare tante cose diverse, rispondeva che non si trattava di ispirazione, ma di espirazione. In poche parole: tirar fuori le esigenze creative che aveva dentro col mezzo che gli si offriva in quel momento, si trattasse di poesia, piuttosto che di disegno, opere teatrali o cinema. Senza distinzioni di forme, ma senza confondere stili e tecniche.
E a lei succede la stessa cosa?
In qualche modo sì, ma le difficoltà in campo artistico sono soprattutto per le donne. Ci si stupisce ancora quando è una donna a cimentarsi in vari settori: nella regia, oltre che nella recitazione, in teatro e al cinema o in tv, e nella scrittura. Credo di essere stata una specie di “apripista” in questo, sin dall’inizio mi sono sperimentata al cinema, in televisione, a teatro, anche come regista e autrice di testi. Se a fare queste scelte erano i vari Montesano, Placido, Rubini e altri, con tutto il rispetto per i colleghi, tutto filava liscio, mentre nel caso di una donna, si veniva, e si viene tuttora, guardate con diffidenza.
Una diffidenza che non le ha impedito di fare scelte coraggiose, come per lo spettacolo su Golda Meir, di cui ha curato regia e produzione.
Mi sembrava importante portare questo testo in Italia: ne avevo sentito parlare, sono andata a vedere in America “Il balcone di Golda” di Gibson e ne sono rimasta entusiasta. Pur sapendo di non essere adatta alla parte, ho voluto acquistarne i diritti, tradurlo e produrlo, per poter rappresentare anche qui la vita di una delle donne più importanti del ‘900. Una sfida che mi ha dato grandi soddisfazioni, considerata l’accoglienza di pubblico e critica.
Quanto risente il teatro di questo momento di crisi aggravata dalla pandemia da Covid?
La crisi si riflette ovunque, figurarsi per quello che riguarda la cultura e lo spettacolo. Ma è proprio in questi periodi che si dovrebbe puntare sulle scelte culturali, con coraggio e senza remore. E va detto che in questo momento sono soprattutto le donne a dare, qui da noi, il buon esempio. Basti pensare a Elisabetta Pozzi, che ha acquistato i diritti per mettere in scena “Tutto su mia madre” di Almodovar, a Laura Morante, che è riuscita a realizzare “Ciliegine”, il suo primo film come regista, come del resto sta facendo Valeria Golino, mentre Isabella Ferrari ha prodotto e interpretato un testo francese acquistandone i diritti, e la produttrice Grazia Volpi ha ricevuto l’Orso d’oro a Berlino, con i fratelli Taviani. Insomma, le donne sono sempre più propositive e coraggiose. É un vero peccato che in questo Paese non ci sia una donna alla direzione di qualche teatro stabile, pur avendone capacità, oltre che merito ed esperienza. Penso per esempio a colleghe come Mariangela Melato o al talento creativo di Emma Dante. Ma chissà perché, come accade in tante aziende e istituzioni, non ci è consentito varcare “il tetto di cristallo”. Eppure questa folata di innovazione, nella cultura e nello spettacolo, sta venendo proprio da donne che stanno dimostrando grinta e capacità di reinventarsi.
A proposito di grinta, nell’ultimo film di Andrzej Wajda su Lech Walesa, ha interpretato il ruolo di Oriana Fallaci, come si è sentita nei panni di questo personaggio?
É stata una felice coincidenza quella di essere stata scelta dal grande Andrzej Wajda per interpretare questo ruolo. Era da tanto che lavoravo per realizzare una fiction proprio sulla vita della Fallaci, che ho sempre considerato una grande innovatrice e una donna coraggiosa. Oltre a questo, molti sostenevano per l’evidente somiglianza fisica e di voce, ragioni per cui Wajda mi avrebbe scelto. Si è tra l’altro verificato un fatto curioso e divertente: quando è stato pubblicato in Polonia il libro “Intervista con la storia”, l’editore ha scritto a Wajda che per errore era stata presa una mia foto di scena per la copertina, tanto che avevano dovuto smontare tutto l’impianto grafico quando se ne erano accorti e sostituire la foto di copertina con una autentica della Fallaci.
E che ci racconta dell’esperienza con Woody Allen, nel film “To Rome with love”?
Ho fatto quello che in gergo tecnico si definisce un “cameo”, un’apparizione, che comunque per me ha rappresentato il coronamento di un sogno: non solo conoscere uno dei miei registi preferiti, ma per di più essere sul set con lui.
Allen ha la fama di essere un tipo chiuso, un po’ “asociale”; è così anche con gli attori?
É una persona entusiasta e curiosa, un po’ schiva, ma molto sensibile e attento con gli attori. Durante le riprese, avevo portato con me un libro che avevo acquistato la prima volta che mi sono recata a New York. Durante una pausa gli ho chiesto di farmi un autografo. Lui non sapeva di quale si trattasse, ma appena ha visto “Side effects”, il suo primo libro preferito, è rimasto sorpreso e commosso, commentando che forse lui stesso non ne aveva più una copia. Poi gli ho regalato il cd e il programma di sala del mio spettacolo “Chiamalavita”, da testi e canzoni di Calvino, nella versione bilingue, presentata all’Auditorium dell’ONU a New York. Ne è stato felicissimo: mi ha chiesto come sapessi che adora Calvino. Ho risposto che amandoli entrambi, supponevo che si piacessero tra loro! Questo scambio rimarrà tra i ricordi più belli della mia vita.
Tra i progetti futuri, ancora cinema, teatro, o tv?
C’è un libro in cantiere, certamente altro teatro e un progetto televisivo, auspicando che questo periodo di chiusura forzata finisca presto.
Se ne ha, come ama trascorrere il tempo libero?
Fellini diceva che un’artista non ha tempo libero o è tutto tempo libero: le idee vengono anche mentre passeggi. In genere mi piace leggere e studiare, che per me vuol dire: andare a teatro, al cinema, ai concerti. Mi piace cucinare per gli amici. Ma soprattutto sono oltre vent’anni che pratico il Taijiquan, con il Gran Maestro Li Rong Mei. È una disciplina che si pratica preferibilmente all’aria a aperta, quando possibile, ideale nei parchi. È una disciplina che armonizza, cura, mantiene in forma, combatte lo stress: la raccomando davvero a tutti, soprattutto in questo periodo!