Fascino latino, grinta e una grande voglia di riscattare un’infanzia difficile: questo aveva spinto Guadalupe Villalobos Vélez a partecipare a una serie di provini a Hollywood, in giovanissima età. Nata in Messico nel 1908, figlia di un militare autoritario con cui non ebbe un buon rapporto, che non sopportava le velleità artistiche della figlia, e di una cantante d’opera di scarso successo, per gravi problemi economici di famiglia venne inviata dalla madre, che non poteva assicurarle gli studi, in un collegio di monache. Uscita dal collegio a diciassette anni, lavorò per un periodo come commessa per pagarsi lezioni di canto e danza, lo spettacolo era la sua passione. Indubbiamente dotata, oltre che molto bella, venne notata dallo scopritore di talenti Hal Roach, che la scritturò per affiancare i famosi comici Stan Laurel e Oliver Hardy, negli ultimi cortometraggi del cinema muto.
Successivamente, anche al tempo del sonoro, avrebbe partecipato ad alcuni film di successo come “La grande festa” del 1934, sempre con la famosa coppia comica. Ben presto la sua grazia, il talento di ballerina, cantante, intrattenitrice, furono notate dai produttori, affascinati da quella brunetta tutta pepe. Anche Duglas Fairbanks la volle in un film, “Il Gaucho”, come coprotagonista accanto alla mitica Mary Pickford. Briosa e vivace sulla scena, lo era anche nella vita privata, ma la sua inquietudine le creò dei problemi. Le sono stati attribuiti vari flirt e grandi amori, come quello con Gary Cooper, che dopo un rapporto tormentato la lasciò.
Tormentato anche un altro grande amore dell’attrice, quello con l’unico uomo che avrebbe sposato: Johnny Weissmüller, il famoso Tarzan di Hollywood. Lupe in privato era una donna inquieta e ansiosa, viveva tutto come una sfida, e sempre al massimo. Sembrava essere ingestibile: era capricciosa, esigente, umorale, e pare anche per questo Weissmüller, come anche Cooper, carattere mite e tranquillo, malgrado la possanza del fisico da atleta, l’avrebbe lasciata. Lupe l’avrebbe sempre rimpianto, anche nell’ultima parte della sua breve vita, come confessò in un’intervista.
Dopo i successi ottenuti alla fine degli anni Venti, soprattutto con ruoli brillanti, quelli che più le si addicevano, come “Tutto pepe”, venne scritturata per una serie di “B movie”, quelli che chiameremmo “film da cassetta”. La serie era intitolata “La sputafuoco messicana”, in cui Lupe interpretava una certa capricciosa e irruenta Carmelita Lindsay. L’interpretazione ne consacrò ulteriormente il talento di attrice brillante e comica, esaltandone la prorompente femminilità. L’attrice era però oramai prigioniera di un’immagine da “bambolona sexy latinoamericana”, che con il passare degli anni le avrebbe procurato dei problemi nella professione. Inquadrata in quei ruoli infatti, vide diminuire esponenzialmente le scritture all’avvicinarsi dei trent’anni. Le prime rughe non le furono perdonate da Hollywood, le produzioni erano a caccia di nuovi talenti e non vollero concederle altre opportunità. Delusa in campo professionale, incapace di reinventarsi, di rinnovare la sua immagine, prigioniera di un personaggio oramai troppo “stretto”, collezionava fallimenti anche nella vita privata. Pare che fu proprio a seguito dell’ultimo fallimento in amore, stremata da una vita vissuta troppo freneticamente, avrebbe meditato il suicidio. Aveva 36 anni quando rimase incinta dell’attore di origini austriache Harald Maresch. Pareva una passione travolgente, ma l’attore, forse per paura di compromettere la sua carriera, si rifiutò di riconoscere la paternità e decise di lasciare Lupe. Sola e disperata, l’attrice non riuscì a superare questo ennesimo fallimento sentimentale. La fase di declino professionale fece il resto.
Il 13 Dicembre 1944, Lupe invitò a cena le sue due migliori amiche, che tra l’altro le avevano consigliato di abortire per evitare i disagi di “ragazza madre”, a quei tempi ancora più gravi. Nelle sue intenzioni sarebbe stata l’ultima cena. “Sono stanca della vita, devo lottare per tutto. È da quando ero bambina in Messico che non faccio che lottare. E il figlio che porto dentro di me, non potrei mai ucciderlo. Piuttosto ucciderò me stessa”. Questo avrebbe confessato alle amiche, che avrebbero dato poco peso a quelle parole, ritenendole frutto di un momento di ovvio sconforto. Così quella notte, dopo abbondanti libagioni a base di cucina messicana piccante, fumo e alcool, la lasciarono sola. Errore fatale. Lupe aveva già predisposto la sua camera da letto come camera funebre. Aveva disposto fiori dappertutto, e attorno al letto enormi candele. Indossò il suo abito da sera più elegante, scrisse un biglietto d’addio e…ingerì 75 pastiglie di un sonnifero chiamato Seronal. All’indomani venne ritrovata morta dalla cameriera. Esiste una versione ufficiale mediatica di questa morte, quella pubblicata da una delle penne più taglienti del periodo, la giornalista di gossip, anzi la “regina del gossip hollywoodiano”, Louella Parsons, che descrisse la scena del ritrovamento del cadavere con toni solenni, con una Lupe sdraiata sul letto sontuoso e regale, come addormentata da un incantesimo, bellissima e sorridente, come se avesse finalmente trovato la tanto agognata serenità. La realtà però era ben diversa. Quando la cameriera Juanita aprì la camera da letto della padrona non trovò nessuno. Sul pavimento tracce di vomito. Seguendone la scia, Juanita arrivò in bagno, dove trovò la povera Lupe in ginocchio, con la testa dentro al water, soffocata dal suo stesso vomito.