È stata sicuramente una delle più amate conduttrici televisive degli anni Ottanta, affiancò grandi personaggi, come Renzo Arbore e Giancarlo Magalli, Simona Marchini si è dedicata con altrettanto successo anche alla recitazione, lavorando sia in popolari fiction televisive, come Don Matteo, che al cinema, dove la vediamo, tra gli altri, nel film Notti magiche di Paolo Virzì. Oggi Simona Marchini preferisce dedicare il suo tempo e le sue energie più al teatro e alla galleria d’arte La Nuova Pesa, che gestisce dal 1985.
Ha vissuto la sua infanzia in un ambiente, e in un contesto storico, intellettualmente vivace, circondata da artisti e intellettuali che frequentavano la galleria d’arte di suo padre. Si considera privilegiata per questo?
Certamente. Questo contesto mi ha stimolata e protetta da aspirazioni da ricca borghese. Ha stimolato sensibilità e interessi.
Definirla attrice, anche per il suo vissuto, è certamente riduttivo. Si è confrontata con il teatro, il cinema, la tv, le regie liriche, le mostre d’arte, la Soprintendenza al Festival di Todi. In quali di questi settori, per semplificare, si è trovata più a suo agio, ha avuto maggiori soddisfazioni?
Sul piano più diretto la gratificazione è arrivata sicuramente dal teatro, sia per la tipologia della prova da sostenere e sia per l’immediatezza della verifica. Ma devo dire che tutte le esperienze in cui mi sono misurata mi hanno comunque restituito soddisfazioni, anche faticosamente conquistate.
Da dove viene l’amore per l’opera lirica?
Dalla mia famiglia genitori nonni e zii…a due anni mia madre mi cantava “Un bel dì, vedremo” della Butterfly, e io la ripetevo con la mia vocina intonata. Crescendo mi sono appassionata e innamorata della Callas, che imitavo con grande passione al punto di desiderare di diventare un soprano, ma a quattordici anni avrei dovuto lasciare la scuola e iscrivermi al Conservatorio, i miei genitori non ebbero il coraggio di fare una scelta così definitiva.
Il teatro può rappresentare un punto di convergenza delle arti, una sorta di contenitore multimediale? (Esempio: l’esperienza dello spettacolo “La mostra” con Gigi Proietti)
Certamente. Io per prima a Roma, nella mia galleria d’arte “La Nuova Pesa”, ho sempre mescolato linguaggi. Questo è costantemente avvenuto nella storia del teatro, basti pensare ai “Ballets Russes” con musiche originali e scenografie e costumi di grandi artisti. Oggi l’avvento della tecnologia sviluppa ulteriori contaminazioni.
L’arte, secondo lei, condizionata dal contesto storico, può più di altre cose rappresentare “lo specchio dei tempi”?
Ovviamente sì, la ricerca di linguaggi contemporanei è la storia dell’arte. Ma a mio avviso ci deve comunque essere un’ispirazione individuale profonda e insopprimibile, che esprima un’identità.
In tal senso, è importante per un artista essere impegnato, portare un messaggio, sposare un’ideale, o si può semplicemente scegliere di fare puro intrattenimento?
Un artista, se è tale, porta sempre un messaggio… ma spesso la brutalità del mercato può creare “fenomeni” e non “messaggi”.
In questo periodo tragico per lo spettacolo dal vivo, trova che le tecnologie possano essere di aiuto o c’è il rischio di snaturare l’evento, di deprivare lo spettatore di quella magia che si crea attraverso la condivisione?
Certamente, nell’emergenza che viviamo, le tecnologie hanno mantenuto un contatto con il mondo della creatività, ma niente può emozionare e coinvolgere come lo spettacolo dal vivo. È uno scambio di energia che lega lo spettatore al palcoscenico ed è insostituibile.
Cosa pensa degli spettacoli di intrattenimento della tv generalista, in particolare quelli basati sui format d’importazione, e quanto le manca la tv dei tempi di Renzo Arbore?
Penso che siano, da almeno quarant’anni, responsabili in gran parte della volgarità e del degrado del costume. Tutta questa comunicazione che stimola esempi veramente degradati, è fortemente coadiuvata dai social e dall’esibizionismo individuale senza limiti. Lo ritengo un danno gravissimo soprattutto per i più giovani, spinti a un narcisismo volgare e autodistruttivo.
Oltre alle alternative di proporre prosa e concerti in streaming, vista la chiusura dei teatri, potrebbe essere una soluzione utilizzare luoghi non deputati, come musei, piazze, siti storici, o gallerie d’arte, come la sua Nuova Pesa?
Io ho sempre utilizzato la galleria come luogo di linguaggi intrecciati. Anche al Festival di Todi le letture con grandi attori erano sempre accompagnate da musica dal vivo e un elemento di arte contemporanea. Oggi anche nei musei si attivano coinvolgimenti di altre forme, in relazione con l’ambiente.
L’arte sopravvivrà a questo periodo e potrà salvarci rendendoci migliori?
L’arte, con alterne vicende, è sempre sopravvissuta alla decadenza e alla brutalità dei tempi. Oggi, secondo me, il problema più grande è rieducare alla bellezza e ai sentimenti i bambini, i ragazzi e gli adulti, aiutandoli a conoscere il piacere della bellezza, compagna e consolatrice insostituibile della nostra vita. Viva l’arte, viva la natura, viva la sensibilità, che ci rende esseri umani e non automi senz’anima.