Frances Farmer è l’emblema di un’epoca scura in America, dove le minoranze, le donne, gli omosessuali e i neri avevano la peggio. Frances è stata una donna troppo “avanti” per gli anni ’40, quando a un’attrice, ma non solo a un’attrice, era richiesto soprattutto di essere bella e condiscendente. Frances osò essere determinata e disobbediente, e per questo fu considerata isterica. Osò pretendere ruoli più consoni al suo talento, e per questo fu considerata arrogante e presuntuosa. Quando tentò di sfuggire alle regole mortificanti di quel mondo, fu emarginata come pazza.
Nacque il 19 Settembre del 1913 nella ricca e puritana Seattle. Da adolescente mostrò subito grande intelligenza, sensibilità, e interesse per gli studi filosofici e il giornalismo. A 18 anni vinse il primo premio di un concorso letterario con un saggio intitolato: “Dio è morto”, ispirato a Nietzsche. Decise di studiare giornalismo e, durante gli studi all’università di Washington, vinse un concorso organizzato da una rivista di sinistra, per un viaggio premio in Unione Sovietica. La famiglia era contraria al fatto che accettasse, ma lei, affascinata da sempre dalla letteratura russa, partì. A Mosca frequentò una scuola di teatro e si appassionò alle opere di Anton Cechov. Tornò in patria, e fu additata in società come simpatizzante comunista. La madre, Lilian Farmer, la convinse a mettere da parte le sue velleità giornalistiche per dedicarsi solo al teatro. Frances accettò, avrebbe voluto interpretare ruoli importanti, per un teatro d’impegno, ispirato agli autori classici. La madre in realtà sognava di fare della figlia, indubbiamente molto bella oltre che talentuosa, una diva di Hollywood. Lilian Farmer avrebbe voluto fare lei stessa l’attrice, ma per diverse vicissitudini non aveva potuto, e riversò su Frances le frustrazioni e le aspettative del suo sogno infranto. Fu lei a procurarle un primo provino alla Paramount. Dotata di una bellezza classica e di un’eleganza innata, Frances fu subito scritturata con un contratto che la impegnava per sette anni. Per comodità si trasferì a Hollywood. Lungi dal rappresentare un traguardo, il contratto si rivelò una delusione. Frances veniva impiegata in film di cassetta, storie sdolcinate o di cappa e spada, dove le si richiedeva perlopiù di interpretare lo stereotipo di “bella ma ingenua”, quanto più lontano dalla sua personalità. Niente ruoli di spessore per lei, che avrebbe voluto interpretare le eroine di Cechov. Oltre a questo, non aveva uno spirito mondano. Si trovava a disagio nelle feste organizzate dalle produzioni, dove per una aspirante diva era d’obbligo partecipare, e possibilmente assecondare le avances di personaggi come Samuel Goldwyn, e altri potenti del cinema, naturalmente senza parlarne in giro. Ma Frances aveva una spiccata personalità: non seguiva neppure la moda, come ci si aspettava dalle attrici del tempo, aveva un suo stile personalissimo, sobrio e un po’ scanzonato, non da “bambola sexy” come avrebbe voluto la produzione, ma da donna dinamica e sportiva, che si era rifiutata persino di cambiare nome, come avrebbero voluto alla Paramount. “Non parlare, non contestare, impara il copione e obbedisci”, era il dictat per le dive di quel tempo. Difficile da accettare per una con senso critico e grande cultura come lei. Non accettava il fatto che i ruoli migliori fossero assegnati a quelle che si mostravano condiscendenti con i produttori, o avevano un marito o un amico potente alle spalle. Sul set era sempre più scontrosa e a disagio, così, una volta scaduto il contratto con la Paramount, tornò a New York, per tentare seriamente con il teatro. All’Actor Studio conobbe il regista Harold Clurman, e lo sceneggiatore Clifford Odets, che la vollero nella loro compagnia. Odets le fece una corte serrata, e malgrado fosse sposato, la coinvolse in una relazione. Anche Frances era sposata con un attore di Hollywood, convinta dagli agenti degli studios e dalla madre in un matrimonio di immagine, una sorta di contratto utile per la notorietà mediatica, e si stava separando. La storia con Odets durò qualche mese, poi lui tornò dalla moglie e, strana coincidenza, Clurman la sostituì come prima attrice della compagnia con una nuova giovanissima aspirante. A Frances fu chiaro che era stata usata: sfruttata scientemente dai due per la sua notorietà cinematografica.
Depressa, priva di prospettive, tornò a Hollywood, dove la Paramount la ricontattò, ma per proporle ruoli sempre più marginali, malgrado il grande talento e il carisma dimostrato, soprattutto a teatro. Nel 1942 una serie di disavventure con la giustizia la metteranno in seria difficoltà. Aggredisce verbalmente un agente che la ferma per guida con i fari spenti. Viene denunciata da un produttore con cui aveva avuto una discussione “animata” e, goccia che farà traboccare il vaso, ha una violenta lite con una parrucchiera sul set del melodramma “No Escape”. Le due donne vengono alle mani e la parrucchiera ha la peggio. Durante il processo, cui viene sottoposta, apostrofa violentemente il giudice e gli tira un calamaio addosso.
Lo scandalo mediatico è inevitabile, Frances viene messa alla gogna. I giornali di gossip si nutrono delle sue disgrazie, è famosa una foto di questo periodo in cui stava tentando di scappare dalla madre e dagli psichiatri che la inseguivano. Per evitarle la prigione, gli psichiatri, la sorella e la madre la fanno ricoverare nel reparto psichiatrico del Massachusetts General Hospital. Qui le si sarebbero aperte le porte dell’Inferno. Durante la degenza, fu sottoposta a esperimenti farmacologici. Le davano in pasto ogni droga sperimentale sul mercato, per domarne l’indole ribelle, la personalità pericolosamente anarchica. La sottoponevano a docce ghiacciate e all’elettroshock.
Tornata a casa, non appare domata, ma ancora più insofferente. Sente che la famiglia le è ostile. Ha un’ulteriore prova della sua solitudine: litiga violentemente con la madre per questo. Lilian Farmer, con l’aiuto dei produttori della Paramount che ne supportano le testimonianze sulla personalità schizofrenica e violenta della ragazza, la fa internare di nuovo, questa volta per cinque anni. Durante questo nuovo ricovero, oltre agli abusi psichiatrici, Frances avrebbe subito abusi sessuali da parte degli inservienti, e persino da soldati ubriachi di una vicina base dell’esercito. Qui le avrebbero derubato l’anima, sottoponendola alla lobotomia transorbitale. Alcuni dicono che la famiglia non fu avvertita di questo, altri che ci fu in realtà un tacito consenso. In qualche modo sopravvisse: uscì dal manicomio nel 1950, portando con sé i pochi brandelli di Frances rimasti.
Per un breve periodo torna a vivere dalla madre. Poi si sposa e va a vivere con il compagno a San Francisco, dove trova lavoro come portinaia in un albergo. Qui viene riconosciuta da un giornalista che era stato un suo fan. Dopo averne pubblicato la storia, il giornalista cerca di rilanciarla come attrice. Nel 1958 torna a interpretare un film e qualche spettacolo teatrale. L’anno successivo un’emittente tv le offre la possibilità di condurre il talk: “Frances Farmer’s Show”. Ma Frances non è più quella di prima: l’abuso di psicofarmaci, le violenze subite, le hanno procurato ferite che tenta di dimenticare con l’alcool. Viene arrestata per guida in stato di ebbrezza, di conseguenza la licenziano dallo show.
Sola e dimenticata, morirà di cancro al fegato a 57 anni. Aveva scritto un’autobiografia: “Will be really be a moring?” (“Chissà se per me ci sarà mai un mattino?”) che sarebbe uscita postuma. Nel 1982 Jessica Lange avrebbe portato la sua storia sul grande schermo nel film “Frances” di Graeme Clifford, meritando una nomination all’Oscar. Nel 1992 Kurt Cobain, leader dei Nirvana, avrebbe chiamato la figlioletta Frances in suo onore. L’anno successivo i Nirvana nel loro ultimo album, “In utero”, inseriscono: “Frances Farmer Will Have Her Revenge on Seattle”. Frances Farmer si vendicherà di Seattle. Seattle, la puritana, che non aveva perdonato a questa sua figlia di essere tanto talentuosa, tanto intelligente, tanto bella, tanto indipendente, tanto donna.