Lo Studio Legale Salata opera a livello nazionale, assistendo imprese e privati, da oltre dieci anni. Gli avvocati che lo costituiscono hanno una forte vocazione solidaristica e credono nel ruolo sociale dell’avvocatura. Sul sito internet (www.studiosalata.eu) e sulla pagina Facebook dello Studio vengono costantemente pubblicati contenuti giuridici d’interesse pubblico, con un preciso intento divulgativo perché tutti possano usufruirne.
L’aspetto sociale non intralcia il tentativo di porre in essere una gestione elastica e al passo con i tempi. Dinamicità, multidisciplinarità, informalità, ricerca di soluzioni alternative al contenzioso e modalità di pagamento personalizzate sono i punti di forza dello Studio Legale Salata. Incontriamo il titolare, Aurelio Salata.
Cosa spinge a scegliere una professione come questa, interessante ma anche impegnativa?
Non credo ci sia un stato un momento esatto in cui ho propriamente scelto o deciso di voler esercitare la professione forense. Più che altro è stata una progressiva presa di coscienza. Alle elementari, nel mio piccolo, già contestavo alcune situazioni che ritenevo ingiuste. Dalle scuole medie al liceo sono sempre stato rappresentante di classe o d’istituto. In un modo o nell’altro sono sempre stato a mio agio nel difendere posizioni, non necessariamente mie. M’iscrissi a Giurisprudenza perché volevo comprendere le regole della società, volevo imparare a capire il diritto, al di là del giusto e dell’ingiusto. Al netto di tutto, sarà forse una risposta scontata, ma non sono io ad aver scelto la professione forense: è lei che ha scelto me.
Qual è la gratificazione maggiore per un avvocato civilista/penalista?
Il complimento che più spesso ricevo è quello di assistiti che mi confidano di sentirsi protetti e sicuri quando si affidano alle cure del nostro studio. L’avvocato rappresenta interessi altrui, pertanto la sicurezza del rappresentato è indice di aver adempiuto con diligenza il mandato ricevuto.
Fa altrettanto piacere quando, a distanza di anni, gli assistiti si riaffidano alle nostre cure per nuovi incarichi.
La difficoltà di un incarico è spesso inversamente proporzionale alle ragioni dell’assistito. Non nego però che avere la meglio in casi molto difficili è fonte di profonda gratificazione. L’avvocato è difensore sia nella ragione che nel torto e a nessun avvocato piace perdere!
Negli ultimi anni sono cambiate le richieste degli italiani che si rivolgono a un civilista?
Esercito la professione da appena dieci anni, quindi non credo ancora di poter fare bilanci. Vedo tuttavia un progressivo abbandono della via giudiziaria ed un incremento delle abilità negoziali dei colleghi. Purtroppo siamo tutti molto sfiduciati dalle tempistiche dei tribunali e pertanto siamo molto più propensi a trovare soluzioni di risoluzione del contezioso alternative a quelle giudiziarie. Il cittadino è ormai rassegnato e predisposto a dover rinunciare a parte dei propri diritti per causa di un sistema giudiziario inadeguato.
Quanto ha influito l’avvento dei social sulla legislazione odierna?
L’avvocato, come ogni attività, se non è in rete, oggi non esiste. Lo stesso codice deontologico forense ha subito negli ultimi dieci anni il prepotente impatto dei social.
Il legislatore moderno non fa altro che creare norme ad hoc, per casistiche portate in auge dai media nel tentativo sopperire a carenze giudiziarie. Così assistiamo all’ideazione di fattispecie apparentemente nuove: come l’omicidio stradale, piuttosto che il femminicidio. È mia opinione che le norme siano sempre state lì, nei codici, sotto gli occhi di tutti gli uomini e donne che avessero avuto la buona volontà di applicarle. Lo stesso vale per tutte le nuove norme legate all’uso dei social e alla tutela dei dati personali.
Creare più leggi serve solo a creare più confusione. Tremo quando sento che il legislatore odierno intende porre mano all’operato di giuristi italiani che hanno reso il nostro diritto vanto nel mondo.
È possibile per un cittadino comune tutelarsi/difendersi da calunnie, danni di immagine online, truffe?
Certo! La prima tutela è come sempre nella conoscenza: chi si informa è in grado di prevenire. Se questo non fosse sufficiente, ci sono sempre gli avvocati e poi i tribunali.
L’emergenza mondiale legata al Covid ha influito sulla vostra professione, e in che modo?
Dopo un primo momento di assoluto stallo, l’emergenza COVID ha fatto progredire il lato telematico del nostro lavoro, ha snellito la burocrazia e facilitato il rapporto con gli uffici giudiziari. Da questo punto di vista ci siamo assolutamente evoluti.
Tuttavia gli avvocati sono stati progressivamente espulsi dai tribunali. La maggior parte delle udienze vengono ancora per lo più celebrate con la formula “trattazione scritta” e quindi con lo scambio di note e non con il confronto dialettico che sarebbe utile allo svolgimento del processo. Spero che presto si torni a celebrare le udienze in presenza, altrimenti il processo si ridurrà ad un mero scambio di atti.
C’è un episodio, di un caso seguito, che ha destato empatia o emozione (in positivo o anche negativo)?
Faccio mio ogni caso, m’immedesimo nei miei assistiti e cerco sempre di raggiungere il migliore risultato possibile nel loro interesse.
Provo particolare empatia nei confronti degli imprenditori, li considero i veri eroi del nostro tempo. Lottano contro il mercato, contro la burocrazia, contro il fisco e da qualche anno anche contro la NASPI e il reddito di cittadinanza. Pressati da un fisco che pretende denari senza dare servizi in cambio, alla disperata ricerca di un personale che preferisce lavorare in nero per non perdere i sussidi statali, loro, nonostante tutto, lottano e credono nell’impresa che conducono. Fanno tutto ciò rischiando il proprio patrimonio personale e spesso si sentono soli, troppo soli. Alcuni arrivano addirittura a rinunciare alla vita.
Ho assistito un imprenditore che ha pensato di farla finita. Sono contento che mi abbia dato la possibilità di stagli accanto e abbia trovato la forza di combattere insieme. Credo che il ruolo dell’imprenditore nella nostra società vada rivalutato e tutelato. Il 21 agosto è la giornata mondiale dell’imprenditore e dell’imprenditrice. Dovremmo celebrarli più spesso.
La lunghezza dei processi in Italia scoraggia le persone – privati o aziende – che a volte rinunciano a denunciare o fare ricorsi per non sottoporsi a trafile estenuanti. Cosa si potrebbe fare per migliorare questa situazione? È un problema dovuto soprattutto alla burocrazia imperante?
Sono convinto che il futuro sociale ed economico del nostro paese passi per l’efficienza del sistema giudiziario. Dobbiamo smettere di cercare colpevoli e iniziare a reperire soluzioni definitive, non temporanee.
È necessario formare e porre in organico magistrati preparati, supportati da uffici efficienti, dotati delle risorse necessarie, con sistemi informatici all’altezza dei compiti loro richiesti. È altrettanto necessario responsabilizzare tutti gli operatori della giustizia, premiando i meritevoli e penalizzando gli altri. Abbiamo un disperato bisogno di meritocrazia!
Un avvocato che propone azioni giudiziarie infondate porta alla soccombenza del proprio assistito, che sarà condannato al pagamento delle spese di lite. Un avvocato che lavora pochi casi al mese, guadagnerà meno di uno che ne lavora molti. Dunque, la permanenza di quell’avvocato sul mercato è inversamente proporzionale al numero di cause che perde e direttamente proporzionale al numero di casi che tratta.
Allo stesso modo, l’avanzamento di carriera dei magistrati dovrebbe essere legato al numero di sentenze riformate in Corte d’Appello o cassate dalla Suprema Corte, oltre che dal numero di fascicoli effettivamente lavorati. Un magistrato poco performante, le cui sentenze vengono puntualmente riformate, diventa un problema per la comunità, sia economico che sociale.
Un cancelliere o un ufficiale giudiziario che non assolve degnamente la propria funzione è un intralcio alla giustizia e va sanzionato.
Credo che un sistema efficace per monitorare le prestazioni degli uffici giudiziari sia quello di affidare ad ogni giudice o collegio di giudici un proprio organico, che risponda gerarchicamente loro. Giudice, assistenti giudiziari e cancellieri dovrebbero formare una vera e propria squadra. I giudici dovrebbero avere la possibilità di scegliere i propri collaboratori e di specializzarsi in ambiti di competenza.
È così triste assistere a giudici costretti a giudicare in materia penale i giorni dispari della settimana e in quella civile i giorni pari. Altrettanto scoraggiante è assistere a Giudici che per anni si occupano di un ambito del diritto e poi, all’improvviso, li trovi in altre sezioni. Anche per i magistrati è innegabile il valore dell’esperienza. Quell’esperienza è tanto più preziosa se pensiamo che è guadagnata attraverso errori che condizionano vite di contribuenti.
Credo che questi siano i veri temi che un legislatore attento dovrebbe affrontare prima di porre mano alla riforma della giustizia. Se la riforma sarà operata da chi non conosce i tribunali, avremo perso l’ennesima occasione per fare bene.
Se in futuro un figlio scegliesse di avventurarsi in questa professione lo sconsiglierebbe?
A mio avviso, quella dell’avvocato è la professione più bella del mondo. Consente di fare esperienza dell’essere umano, in tutte le sue sfaccettature. Tuttavia, è una professione che chiede tanto in cambio: anni di preparazione e continuo aggiornamento, non ha orari e troppo spesso si confonde necessariamente con la vita personale, così decretando inevitabilmente il sacrificio dei nostri affetti più cari.
È una professione che può essere degnamente svolta solo con tanta passione. Come ho già detto, non siamo noi a sceglierla, è lei che sceglie noi.
Se mia figlia scoprisse di essere un avvocato, sarei un papà felice e farei del mio meglio per tramandarle tutta l’esperienza guadagnata.