Aldo Nicolaj, drammaturgo pluripremiato, artista completo dal talento straordinario, innovatore, mai banale, scrittore dalla penna pungente, paradossale, raffinata, ironica, a volte cinica, ma profondamente poetica. A cento anni dalla nascita, la sua città natale, Fossano, gli ha dedicato, i primi di ottobre, tre giorni di eventi per ripercorrerne la vita e l’opera. In questa occasione è stato presentato il libro “I ricordi spettinati di Aldo Nicolaj” di Rosario Galli, che ha raccolto le riflessioni, le confidenze e gli aneddoti scambiati con Aldo durante cinque incontri, avvenuti tra il dicembre del 1999 e il gennaio del 2000. Le pagine del libro ci restituiscono un racconto intimo, profondo, sincero e spontaneo, che ha il sapore autentico di una chiacchierata tra due amici. Ripercorriamo così, insieme a loro, alcune delle fasi più significative della vita di Aldo Nicolaj, che si è intrecciata con importanti avvenimenti storici, dal ricordo di un’uniforme di seta in un campo di concentramento durante la seconda guerra mondiale all’assassinio di Kennedy, fino al rapimento di Aldo Moro, e con grandi personaggi, da Quasimodo a Che Guevara. Un viaggio nel tempo, ma anche un’occasione per riflettere sul teatro, perché, come ha dichiarato lo stesso autore, Rosario Galli: “Tra le righe c’è la risposta a quello e a tanti altri misteri del Teatro Italiano del XX secolo”.
“I ricordi spettinati di Aldo Nicolaj”. Come mai la scelta di questo titolo?
L’idea mi venne durante un viaggio che feci con Aldo nel novembre del 1999; mi chiese se avessi avuto piacere di accompagnarlo a Mosca a vedere un suo spettacolo, ovviamente accettai subito, non ero mai stato a Mosca e quella era una magnifica occasione. Durante il viaggio, con numerose pause e attese tra un volo e l’altro, Aldo mi raccontò le storie e gli aneddoti della sua vita, ma in modo disordinato, saltando da un ricordo all’altro, gli veniva in mente una cosa e la diceva, poi un’altra capitata anni dopo e del tutto diversa, e così, guardando la sua testa completamente senza capelli, dissi che un titolo divertente sarebbe stato appunto i “ricordi spettinati”, come i suoi capelli che non aveva più e il suo modo di raccontare. A lui piacque moltissimo.
Qual è il tuo ricordo più bello legato ad Aldo?
Nel libro ci sono tanti momenti belli, ma ne ho uno privato, di un pranzo che facemmo in un posto unico al mondo, Eraclea Minoa, in Sicilia, durante il Premio Salvo Randone; c’era un piccolo bar sulla spiaggia, era il 1991, una delle spiagge più belle al mondo, almeno allora lo era, poi con il tempo il mare e l’incuria degli esseri umani l’hanno un poco ridimensionata, ma in quel momento era davvero un posto magico. Mangiammo il pesce spada in quel piccolo bar, e lui disse che non ne aveva mai mangiato uno più buono; in realtà era tutto l’insieme a renderlo speciale, come credo avvenga per tutte le cose: un concorso di belle coincidenze, che si uniscono per darci un breve attimo di felicità.
Cosa ha significato per te, dal punto di vista professionale e umano, l’amicizia con Aldo?
Umanamente la risposta è nel libro: se l’ho realizzato è perché umanamente lo meritava ed è stato il mio modesto contributo per cercare di rendergli omaggio. Professionalmente mi ha insegnato che scrivere per il teatro è come fare il sarto su misura, prima scrivi un testo, ma poi lo devi adattare alle misure degli attori che lo interpretano, devi essere pronto a cambiarlo, modificarlo, tagliarlo, aggiungendo, un poco qui, un poco là, proprio come fa un sarto con un vestito su misura.
Secondo te esiste qualcuno, nel panorama teatrale italiano contemporaneo, che possa essere considerato un suo erede?
Non conosco tutti gli scrittori teatrali contemporanei, però posso dire che il suo stile e il suo modo di concepire la struttura drammaturgica sono abbastanza unici e legati a quello che a metà del secolo scorso fu definito il Teatro dell’Assurdo. Oggi non vedo molti esempi analoghi; forse non può esistere più un Teatro dell’Assurdo, forse è sbagliato dare definizioni, forse il Teatro vive di stagioni, ciascuna chiusa e conclusa nel suo alveo di contraddizioni, forse il Teatro non ha più senso, forse continuiamo a scrivere testi destinati a un palcoscenico sapendo che non li vedrà quasi nessuno, o poche persone, magari qualche migliaio, ma in ogni caso sempre un numero risibile, rispetto ai “follower” di qualche cantante o di qualche individuo incapace di concepire un testo, ma bravissimo a vendere la propria immagine.
Cosa avrebbe detto Aldo del periodo che stiamo vivendo, del Covid e di tutte le conseguenze che sta portando al livello sociale, umano ed economico?
Sicuramente avrebbe inventato una situazione teatrale paradossale, in cui il Covid e il vaccino diventano due personaggi che si mettono d’accordo per rendere l’umanità peggiore di quella che è, riuscendoci perfettamente. O forse no, non so, era imprevedibile, ne avrebbe sofferto come tutti, ma poi ne avrebbe sorriso con disincanto e con la classe che lo caratterizzava.
Perché non ha avuto il successo che meritava, soprattutto in Italia?
Questa è la domanda di apertura del libro, quindi invito i lettori a leggerlo per avere una risposta; però, sintetizzando, posso dire che non è stato apprezzato e riconosciuto pienamente, ma solo in piccola parte, nel nostro Bel Paese, perché siamo in Italia, dove il livello di sensibilità e di interesse per la Cultura, in generale, e per il Teatro, nello specifico, è davvero infimo.
Per concludere, ci vuoi parlare dei tuoi progetti futuri?
Sopravvivere al virus e arrivare a vedere la prossima estate.