“Da domani mi alzo tardi”, best seller di Anna Pavignano, è uscito in una nuova edizione per la casa editrice E/O. In copertina una scanzonata immagine dei due protagonisti della storia: una giovane Anna e Massimo Troisi. E’ nel 1977 che la scrittrice conosce l’attore, durante la trasmissione di Rai Uno “Non stop”, una rassegna di comici dove partecipa come comparsa. Tra i due scoccherà una scintilla che li avrebbe coinvolti sia sul piano sentimentale che professionale. La loro relazione sarebbe durata dieci anni.
Quanto ha cambiato l’Anna Pavignano donna, e quanto la scrittrice, l’incontro con Massimo Troisi?
Quando ci siamo conosciuti eravamo molto giovani, io avevo 22 anni. Più che cambiato direi che è iniziato qualcosa, per entrambi. Per quello che riguarda l’Anna scrittrice, ho affrontato la scrittura in modo più convinto e professionale. Ma oltre alla scrittura narrativa con Massimo ho imparato a conoscere la sceneggiatura: abbiamo iniziato praticamente insieme a lavorare per il cinema. Da lui ho imparato il senso dello spettacolo, mi ha fatto capire che la scrittura può trasformarsi in immagine, ha ampliato la mia visione. Forse se non lo avessi conosciuto avrei scritto esclusivamente romanzi. Grazie a lui ho unito due cose: cinema e letteratura. Per quello che riguarda l’aspetto privato, per me è stato il primo rapporto sentimentale importante, quello che ti cambia la visione della vita. Siamo cresciuti insieme.
“Da domani mi alzo tardi” parla di questo vostro incontro. Può essere considerato una sorta di romanzo autobiografico?
In qualche modo è sia un romanzo biografico, per quello che riguarda Massimo, che autobiografico, per quello che riguarda me. L’ambientazione è immaginaria: si tratta di un tempo senza tempo, dove immagino che Massimo sia partito, si sia concesso un periodo di lontananza dagli impegni di lavoro e dalla città per riposarsi in campagna. Torna solo a cinquant’anni, età che purtroppo non ha mai raggiunto, e ci incontriamo per parlare di un nuovo progetto cinematografico che avremmo dovuto realizzare. Le cose che dice e racconta sono vere, sono cose di cui parlavamo. Si tratta di considerazioni e anche ricordi d’infanzia di cui mi aveva resa partecipe. Il nostro rapporto è stato fatto anche di racconti. Raccontare, raccontarsi, e tutto vissuto intensamente.
Armonizzare due personalità apparentemente agli antipodi per cultura e tradizioni, nord e sud, tu di Torino e lui della provincia di Napoli, è stata un’impresa difficile?
Direi di no. La nostra storia è stata una sorta di esempio perfetto di integrazione. Ciascuno di noi ha accettato il bello e il diverso della cultura dell’altro. Pur avendo due formazioni differenti, avevamo molto in comune. Io ero da sempre affascinata dalla cultura del sud. Vivendo a Torino ero stata a contatto con diverse realtà: Torino è piena di emigrati dal sud Italia, ma spesso si trattava di persone non proprio integrate, scontente e chiuse in se stesse. Quando ho conosciuto Massimo mi sono trovata davanti a un altro mondo. Lui era un viaggiatore, non un migrante, un curioso di altre culture, ironico, aperto al nuovo. Sia io che lui abbiamo sempre pensato alla diversità come a un arricchimento. Io comunque ho dovuto adeguarmi e imparare il napoletano. D’altronde era impossibile comunicare con Massimo senza conoscere il napoletano.
Quali sono i pregi e quali i difetti di Massimo Troisi che emergono da questo libro?
Direi soprattutto la pigrizia, anche se più che un difetto era un modo di essere. Aveva sempre una scusa per rimandare le cose, prendere tempo, come se non volesse prendersi delle responsabilità. Nel libro lo prendo un po’ in giro per questo. Un’altra cosa che emerge, anche questa vera, è che lui era amato più per quello che era che per quello che faceva. E anche questo alimentava la sua pigrizia. Se sei amato comunque, non c’è bisogno che ti dia tanto da fare. E lui questo lo percepiva: era intelligente, sensibile, umanamente bello dentro e fuori.
Per quali sceneggiature cinematografiche hai collaborato con lui?
Praticamente tutte: Ricomincio da tre, Le vie del signore sono finite, Pensavo fosse amore e invece era un calesse, Scusate il ritardo, Il Postino, per cui abbiamo avuto la nomination all’Oscar per la sceneggiatura. Non ho partecipato al film che ha fatto con Benigni: “Non ci resta che piangere”. Ho assistito alle riprese, ma con il ruolo di…fidanzata ufficiale.
Come ti è venuta l’idea di fare del libro uno spettacolo teatrale?
Era un periodo in cui andavano molto le reading, più coinvolgenti di una semplice presentazione letteraria. Avevo a disposizione anche immagini e filmati inediti, che proiettavo durante la lettura. Inoltre c’erano delle musiche suggestive ideate da Alfredo Morabito che arricchivano il tutto. Ne è venuto fuori un vero e proprio monologo teatrale. C’è stato un bel riscontro da parte del pubblico, spesso la gente era commossa ed emozionata: una ulteriore conferma di quanto Massimo fosse, e sia tuttora amato.
Oggi ti definiresti più scrittrice o sceneggiatrice?
Direi entrambe. Ultimamente sono alle prese con idee forse più adatte a un romanzo, ma questo anche per il periodo di stallo dovuto al Covid, che ha bloccato in essere tanti progetti. Ne ho di cinematografici, nel cassetto, che spero di riprendere. La sceneggiatura cinematografica è diversa da quella narrativa: si tratta di due metodologie differenti. Nella cinematografia devi essere più tecnico, tenere conto che il lavoro andrà condiviso con il regista, con gli attori, gli scenografi. La scrittura narrativa è più individuale, più pensiero che immagine, ha tempi di fruizione diversi. A me piacciono entrambe.
Nei tuoi progetti futuri, fra letteratura e cinema?
E’ già pronto un nuovo romanzo che sarà pubblicato dalla E/O il prossimo anno. Sto anche scrivendo una storia per ragazzi e un romanzo noir. E’ la prima volta che mi cimento in questo genere. Mi intriga molto, è qualcosa di più complesso del genere giallo tout-court, implica anche approfondimenti psicologici dei personaggi. Il protagonista sarà un commissario molto particolare, ma non svelo altro. Poi come dicevo ci sono progetti di sceneggiature per il cinema e la tv, ma tutti in sospeso. Per fortuna l’editoria non si è fermata, anzi. D’altronde i libri sono di grande utilità durante i periodi più difficili della vita, anche e non solo.