Prigioniera in una gabbia dorata, difesa dal mondo esterno da genitori forse troppo protettivi, Beatrice, la giovane protagonista del romanzo di Maria Antonietta Coccanari de’ Fornari, è incuriosita e attratta, ma anche intimorita da Malbo, il vicino paese che ne tenta il desiderio di fuga. I genitori sono rappresentati come presenze concrete, ma al contempo distanti, condizionanti: vegliano, giudicano, disapprovano. E la disapprovazione è tutta presente nel nome del padre di Beatrice: “Ostilio”, nobile controverso e taciturno. Autoritario e introverso, trascorre la maggior parte del tempo in biblioteca, dove, se Beatrice entrasse, come riflette lei stessa, sarebbe “un’ombra inconsistente e ignorata”. Nulla da obiettare quindi se l’inquieta adolescente decide di scappare dalla dimora – prigione, di intraprendere un viaggio verso una realtà ignota.
Ed ecco che inizia la fuga, verso Malbo appunto, un viaggio attraverso luoghi inconsueti, paesaggi pregni di simboli, in un percorso onirico ed evocativo di dantesca memoria. Beatrice come Dante, percorrerà sentieri fantastici, assisterà a eventi paradossali, sarà testimone di efferatezze, di gesti eroici, di sublimi creazioni, di memorie e pentimenti, in un viaggio costellato di incontri con personaggi dai contorni esasperati, dalle reazioni esagerate, come quelle del giovane Flan, definito pazzo per le sue reazioni infantili da ragazzo fragile e “senza pelle”. E ancora l’incontro con quello che sarebbe apparso all’adolescente Beatrice “l’uomo più bello del mondo”: Xenaido, misterioso e venuto dal mare, con la piccola e ingenua Rosaspina, che ne è segretamente innamorata, con la malinconica cortigiana Leto, che scrive per sentirsi viva, con l’enigmatico architetto Luciani, custode di chissà quali segreti, e con quello che sarà l’amore, ma anche il terrore di Beatrice: il possessivo narcisista Lèopold, che lei tenterà di respingere per timore di perdere la libertà cui aveva aspirato sin da bambina, sfuggendo ai divieti dei suoi, ma senza riuscirvi. Con lui ingaggia un gioco al massacro che riecheggia un duello a morte, come il quello tra Clorinda e Tancredi nella Gerusalemme Liberata. “Siamo troppo diversi”, afferma lei, “D’altra parte la dissimiglianza crea la tensione, l’attrazione, l’amore”, ribadisce tronfio lui, apparentemente vittorioso. Trasportata, ipnotizzata, anche se titubante, Beatrice non riuscirà a sottrarsi alla sfida, ne morirà, ma ne risorgerà più consapevole di sé. Nel frattempo una processione di personaggi anima le pagine del libro e la vita di Malbo, dove troneggiano oscuri il Palazzo delle Decisioni e quello delle Invenzioni. E un luogo magico si intravede dietro la descrizione di questa cittadina incantata: è Villa d’Este, la magnifica enigmatica dimora voluta dal Cardinale Ippolito d’Este, e immaginata dall’architetto Pirro Lagorio che mai ne vide la realizzazione concreta. Quale luogo migliore per ospitare una storia come questa, un viaggio iniziatico alla vita, una sequenza di meraviglie, stupore e sgomento, come quello che accoglie i visitatori in questo incanto rinascimentale.
È un incanto che l’autrice conosce bene per nascita, è il regno degli enigmi, del bene e del male, di quello che appare bello ma può rivelarsi brutto, e viceversa. Beatrice vi si addentra trovandosi coinvolta e spettatrice di eventi che evocano riti iniziatici, favole antiche, miti arcaici. Qui ogni personaggio rappresenta uno stato d’animo. Lo stesso paesaggio che ospita la vicenda è uno stato d’animo, che non permette neanche al più razionale dei visitatori/lettori di delineare netti confini tra sogno e realtà. Dove sarà la “linea d’ombra”? L’autrice ci trascina con sapiente malìa in una sorta di “amarcord” felliniano, che riconduce inevitabilmente all’infanzia, dove tutto è proibito, tutto è abnorme, e tutto è possibile. Come non immedesimarsi? E questo avviene attraverso una scrittura originale, utilizzata in modo insolito, sperimentale, certamente coraggioso. È straordinaria la capacità dell’autrice di associare una terminologia raffinata e immaginifica, determinata da una padronanza linguistica fuori dal comune, a sentimenti e sensazioni carnali, oltre che spirituali, rendendone immediata e tangibile la visione a chi legge. Così accade per l’incontro di Beatrice adolescente con la sessualità, e con il Pan interiore che cerca di ribellarsi alle regole che tentano di imbrigliarlo, a cominciare dalla famiglia, sino all’incontro/ricatto dell’amore possessivo. E alla fine, inevitabile, il “nostos”: desiderio del ritorno. Così attraverso la parola visiva, tutto appare, tutto si materializza e scorre, tangibile e palpitante, attraverso un linguaggio fortemente impressivo, caratteristica peculiare di questa scrittrice, che ne rende impossibile la codificazione angusta all’interno di un qualsiasi genere letterario. Un romanzo che è viaggio e sogno, sogno o viaggio. Entrambe forse. Al lettore la scelta.
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Breve nota biografica dell’autrice:
Medico, giornalista, professore di psichiatria e psicodinamica, di riabilitazione, con attenzione alla “filmtherapy”, nella facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università la Sapienza di Roma, accanto a numerose pubblicazioni in campo scientifico, è autrice di romanzi, racconti e poesie per cui è stata insignita di numerosi premi. Ha pubblicato tra gli altri: “Il romanzo invisibile” Ed. il Ventaglio; “La vera casa di Caio”, Ed. Aletti. Di lei lo scrittore Fulvio Tomizza ha detto: “Siamo nell’eccezione, di questo non ho alcun dubbio”.