Una scelta di vita vegana non riguarda soltanto il cibo, si tratta di una scelta etica che coinvolge diversi aspetti della vita. Alla base di tutto c’è l’intento di non sfruttare gli animali, di risparmiare loro inutili sofferenze, di rispettare i loro ritmi vitali pur non rinunciando a benefici e comodità.
Per quello che riguarda il settore moda e abbigliamento, i vegani, ma non solo, sempre più si affidano ai marchi dichiaratamente “cruelty free”. Il motto è: niente lana, pelle, cuoio, piume d’oca, e naturalmente niente pellicce.
La pelle e il cuoio, utilizzati per accessori, scarpe, oltre che per il vestiario, oggi possono essere sostituiti con la similpelle, da non confondere con l’ecopelle che è pelle animale trattata con sistemi ecologici naturali anziché chimici. La similpelle è realizzata con materiali resinosi o plastici, rigorosamente a base vegetale (ultimamente è stato realizzato anche del tessuto dalla lavorazione delle foglie di ananas), che oltretutto risulta anche più economica. Per quello che riguarda la lana, molti pensano che la tosatura sia una pratica non cruenta per gli animali, ma non è così. Spesso è una pratica dolorosa, che lascia l’animale a lungo traumatizzato.
Consideriamo inoltre che oggi non abbiamo la necessità di utilizzare la lana come avveniva decenni fa, avendo a disposizione acrilici, anche ecologici, velluti, pile, flanelle. Oltretutto questi materiali hanno spesso una maggiore durata della lana, e un prezzo più basso.
Anche giubbotti e piumini invernali possono nascondere lo sfruttamento animale: lo spiumaggio delle oche, per esempio, è un’altra pratica ancora più traumatica della tosatura. L’animale viene sottoposto più volte allo spiumaggio, e quando non ce la fa più a sopportarlo, viene soppresso. Anche in questo caso esistono oramai alternative più che valide a questa imbottitura definita naturale, e il risultato in termini di leggerezza e garanzia di calore è ottimo.
Molti non ne sono a conoscenza, ma anche la produzione della seta comporta sofferenza: i bachi infatti vengono bolliti vivi per ottenere i bozzoli interi da cui ricavare i fili di seta. Oggi esiste, oltre alla viscosa, un tipo di seta chiamata seta vegana, realizzata con il filo di seta ricavato dai bachi rotti dopo la fuoriuscita della farfalla.
Ma lo sfruttamento più evidente in termini di crudeltà è quello relativo alla produzione di pellicce. In questo caso gli animali vengono spesso scuoiati vivi per mantenere integra la pelliccia. A volte vengono storditi con una bastonata, che li lascia tramortiti, ma coscienti, e lasciati morire così dopo lunga agonia.
Per fortuna da un po’ di tempo anche grandi stilisti, come Giorgio Armani, sono diventati testimonial di campagne “cruelty-free”, confermando di non utilizzare materiali provenienti da sofferenza animale, pellicce, e inserti di pelo.
Per chi non voglia rinunciare ad un “look animalier”, sono in voga pellicce sintetiche morbide e leggere, realizzate in tutti i colori possibili. Anche in questo caso occhio alle etichette: questo per assicurarsi che anche per i piccoli inserti di pelo non siano stati utilizzati animali. Nella maggior parte dei casi infatti, per guarnire colli di giubbotti, cappelli, guanti, vengono spesso utilizzati peli di cani e gatti, povere bestiole che fanno le spese dell’ignoranza e della vanità umana. Anche qui attenzione alle etichette, quando vedete scritte come: Asian wolf, Dogue of China, Gae wolf, Loup d’Asie, Murmanski, si tratta di cani. Se nella scritta compaiono: Gatto Lyra, Katzenfelle, Wildcat, si tratta di….mici.
Per fortuna anche nel mondo della moda oramai la maggioranza è per la pelliccia ecologica. Merito dell’etica vegana, anche se la pratica di scelte etiche anche in merito di vestiario dovrebbe essere una prerogativa di tutti quelli che hanno rispetto per ogni forma di vita.