Creativo, poliedrico e instancabile, artista dal multiforme talento, Gianni De Feo ha collaborato nel corso della sua formazione e carriera con grandi maestri della scena internazionale, tra questi: Lindsay Kemp, Peter Brook, Roberto De Simone, Tato Russo, Jean Paul Denizon, Mario Scaccia, Antonio Salines. Recita e canta: un genere in cui ama cimentarsi è il teatro-canzone, rigorosamente con musica dal vivo. Si occupa anche di regia, come nel caso dello spettacolo “Venere in pelliccia”, che andrà in scena al teatro Lo Spazio di Roma, il prossimo 15 Ottobre. Lo abbiamo incontrato durante le prove, in un raro momento di pausa.
In questo spettacolo, che andrà in scena in prima nazionale al teatro Lo Spazio, oltre al ruolo di interprete sei anche regista. Quanto è “faticoso” rivestire entrambe i ruoli ?
Mi capita spesso di essere regista e dirigere spettacoli di cui sono anche interprete. Nella maggior parte dei casi, si tratta di monologhi, spesso con musicisti dal vivo che interagiscono con me sulla scena. Quando invece devo affrontare testi dove il dialogo e l’azione scenica è articolata tra due o anche più personaggi e dove ho anche un ruolo da interprete, certamente l’impegno si moltiplica. La piéce di David Ives, “Venere in pelliccia”, ispirata al noto romanzo di Leopold Von Sacher Masoch, prevede senz’altro due protagonisti consci di un grande impegno, capaci di cambiare, di alternarsi e trasformarsi costantemente, in un ritmo che non concede pause. Inoltre, i vari livelli linguistici del testo, che passa velocemente da uno stile ottocentesco a un tono contemporaneo, sono “ostacoli” che vanno studiati attentamente. Un impegno non da poco, sia per i ruoli da interpretare che per la messa in scena. Tuttavia, Il mio orecchio da teatrante (e aggiungerei anche l’occhio, la bocca, la pancia e la pelle), allenatosi senza pausa durante i miei percorsi sperimentali, mi ha portato a sviluppare un senso tutto personale del “gioco”. Una costruzione fantasiosa e fantastica dove puoi staccarti da te e guardarti dall’esterno, studiarti nei piccoli dettagli e nei minimi particolari dell’azione. In pratica, spettatore di te stesso e, in questo caso, di chi interagisce con te sulla scena. Un senso di abbandono e autocritica mi accompagna durante tutte le prove, portandomi in una dimensione di libertà creativa da condividere con il partner. E la “fatica” così è superata dal gioco. No, non è “faticoso” rivestire questi due ruoli. E’ semplicemente più complesso, e direi più arricchente.
Le tematiche trattate dal testo, ispirato al romanzo di Leopold Von Sacher Masoch, possono essere di attualità ?
Non mi sforzo mai di cercare in un testo un aggancio all’attualità. Piuttosto cerco la Poesia. In un certo senso per me il teatro non ha né Tempo né Spazio. Eppure, fa parte di tutti i tempi ed è in ogni spazio. Proprio in questa sospensione puoi trovare spunti di attualità. L’Umanità è vecchia, come il Teatro, e si ripete. Quello che è attuale oggi non lo sarà domani. No, non cerco di essere attuale. Essere moderno, quello sì, perché in una piéce del passato ci può essere tanta modernità.
Il rapporto tra Wanda, la protagonista, e il regista (o lo scrittore nel caso del romanzo), potrebbe essere interpretato anche come confronto, non solo di coppia, ma anche delle ambivalenze presenti in un unico individuo, un po’ come nel Dottor Jekyll?
Come spesso accade, siamo l’uno lo specchio dell’altro o addirittura il riflesso dei reciproci pensieri. Quello che mi piace nel rapporto tra Wanda – interpretata nello spettacolo da Patrizia Bellucci – e Thomas, il regista/scrittore da me interpretato, ma ancora di più quello che trovo assolutamente intrigante nella dinamica del dialogo, è proprio questo continuo ribaltamento di ruoli tra vittima e carnefice, tra dominante e sottomesso. Una giostra di identificazioni, tra attori e personaggi, tra pubblico e autore e altro ancora. “Perché tutti credono che l’autore sia le persone di cui scrive?” chiede Thomas nella piéce, “Perché è quasi sempre così, cazzo!”, risponde Wanda.
Il teatro attualmente sta vivendo un periodo molto difficile. Trovi che anche oggi, sia lo specchio dei tempi ?
Io credo che tutta la società stia vivendo un periodo molto difficile e tanto confuso. Il potere economico, il dio denaro, sta inquinando fortemente l’anima creativa / creatrice del nostro sistema. L’entusiasmo con cui si costruiva dal nulla o con pochi mezzi un qualsiasi evento espressivo, si muove ora su di un terreno molto insidioso. Ecco, credo che l’Arte sia ancora l’unico seme capace di resistere a questo vuoto, per trovare spiragli di luce e scongiurare il totale soffocamento. Almeno finché l’entusiasmo non svanirà del tutto.
Cosa ti sentiresti di suggerire alle istituzioni, per un teatro che ritrovi un proprio posto nella vita sociale ?
Le istituzioni di questo Paese hanno veramente mai avuto interesse per tutto ciò che riguarda l’espressione artistica: teatro, musica, opera, danza, pittura…? Ahimè…Ora, l’unica cosa che potrei suggerire alle istituzioni (quali istituzioni?) sarebbe quella di guardare a quel tempo passato quando la cultura e le arti di questo Paese erano esempi da imitare altrove. Per questo, bisognerebbe creare la possibilità di trovare biglietti degli spettacoli anche dal giornalaio, addirittura al bar o in quelle periferie abbandonate, così come nelle librerie. Offerte promozionali anche per turisti di passaggio. Fare insomma anche del teatro dal vivo un business. Perché no. Non è vero che il pubblico è pigro. Sono le istituzioni che non vogliono organizzarsi, perché il guadagno certamente non sembra appetibile. Il teatro, il nostro teatro, perché di questo stiamo parlando, dovrebbe essere buono come il nostro cibo, come il nostro vino, come le nostre spiagge, come le tagliatelle della Sora Lella, come il Pandoro di Milano, come le Briosce di Palermo. Se vai a Parigi, Londra o Berlino, Barcellona o Madrid, è probabile che nei programmi turistici qualcuno contempli anche una serata a teatro. Uno spettacolo teatrale può farti conoscere meglio la cultura di quella città. Bisognerebbe dare onore, spazio, ossigeno e vita, e anche rispetto, a questo bizzarro popolo di talentuosi allo sbaraglio, che siamo noi.
Trovi che l’uso delle tecnologie (effetti speciali, multimediali, ecc.) possa essere d’aiuto per attrarre le generazioni più giovani verso il teatro ?
Le tecnologie sono utili, sempre e comunque. L’utilizzo di queste, richiede senza dubbio maggiore intelligenza. Tutto bene ciò che di nuovo avanza, purché non si dimentichi da dove veniamo per capire meglio dove andare. Il palcoscenico ha un odore speciale che attraverso un display non potrai mai sentire.
Molti artisti hanno riti scaramantici che esercitano prima di andare in scena, tu ne hai ?
A dispetto di quella che è considerata dalla maggior parte dei teatranti una scaramanzia al negativo, io adoro il viola. Il mio camerino poi è un vero altare rituale dove non manca mai un filo d’incenso e una candela accesa. Da lì parte tutto. Lì nasce, piano piano, il personaggio del momento che mi accompagnerà poi in scena.
Progetti futuri?
Il prossimo febbraio riprenderemo, sempre al Teatro Lo Spazio, “Che fine hanno fatto Bette Davis e Joan Crawford” di Jean Marboeuf con la regia di Fabrizio Bancale. Io interpreterò il ruolo di Bette Davis e con me ci sarà Riccardo Castagnari nel ruolo della Crawford. A Napoli porterò un testo di Roberto Russo “La fine del mondo”, e ad aprile sarò all’Off/Off Theatre di Roma con un testo di Paolo Vanacore e le musiche di Alessandro Panatteri, “Bambola”, uno spettacolo musicale dove canterò le canzoni di…(sshhhh).