“Il teatro mi dà un senso di sicurezza… Recito perché mi piace provare e dare piacere alle persone”.
Attrice molto prolifica sia per il teatro che per il cinema, Vivian Mary Hartley nacque in India da un ufficiale di cavalleria, Ernest Hartley, e da Gertrude Robinson, entrambi britannici. Ebbe un debutto più che precoce sulle scene: la madre, attrice amatoriale, la fece recitare dall’età di tre anni. Sempre la madre, le infuse l’amore per la letteratura e le arti figurative. All’età di sei anni fu inviata in Inghilterra per proseguire con studi regolari. Nel college conosce la piccola futura attrice Maureen O’Sullivan, con cui avrebbe condiviso l’amore per il teatro. Le due ragazze decidono di intraprendere la carriera di attrici. I genitori di Vivien si mostrano favorevoli, e la iscrivono alla prestigiosa Royal Academy of Dramatic Art di Londra. Durante gli anni dell’Accademia consce l’avvocato Herbert Leigh Holman, molto più grande di lei, e lo sposa nel 1932, pur non avendo ancora terminato gli studi. Ha solo 19 anni. L’anno seguente mette al mondo la figlia, Suzanne. Malgrado Holman non la ostacoli nelle scelte e negli studi, e sia presente e protettivo, Vivien comincia a mostrare segni di insofferenza, sia verso il legame del matrimonio che per la maternità. Si butta a capofitto negli studi, diventa una perfezionista, le sue giornate sono quasi interamente dedicate all’Accademia. “Mi sentivo troppo giovane per essere madre – avrebbe affermato anni dopo durante un’intervista – ero impaziente, mi sembrava di non avere abbastanza tempo per dedicarmi a quello che mi piaceva. Non avevo la serenità che ci si aspetta da una madre. Amavo la mia bambina, ma non potevo mettere in secondo piano l’idea della mia carriera sulle scene”. Oltre a innumerevoli saggi teatrali, nel 1934 interpretò il primo film “Things Are Looking Up”, e il suo agente di allora le consigliò di adottare un nome artistico. Lei scelse Vivien Leigh. L’anno seguente viene scritturata da varie compagnie teatrali, e colleziona successi di pubblico e critica. Viene considerata un astro nascente del teatro britannico, soprattutto per la disinvoltura e la versatilità nell’interpretare sia ruoli classici e drammatici, che contemporanei e brillanti. Nel suo repertorio c’è Shakespeare, ma anche George Bernard Shaw, Noël Coward, Carl Sternheim. “The mask of virtue”, dramma di quest’ultimo, fu lo spettacolo galeotto che le fece incontrare il grande amore della sua vita: Laurence Olivier.
Olivier, già attore tra i più acclamati nel panorama teatrale britannico e non solo, andò a vederla a teatro, e ne fu folgorato. Dopo i complimenti in camerino, nacque una complice amicizia che ben presto si trasformò in passione. Durante uno spettacolo che interpretavano insieme “Elisabetta d’Inghilterra”, nel 1937, decisero di ufficializzare la loro relazione, sino ad allora vissuta in modo clandestino. Chiesero il divorzio ai rispettivi coniugi: Vivien era ancora sposata con Holman, e Olivier con l’attrice Jill Esmond. I due coniugi, traditi inizialmente, si rifiutarono di concedere il divorzio, ma Vivien e Laurence iniziarono comunque a convivere. La loro era una passione talmente travolgente che non riuscivano a nasconderla, incuranti dei pettegolezzi e della stampa impietosa che li seguiva ovunque. Vivien e Laurence erano uniti non solo da una forte attrazione fisica, condividevano l’amore per il teatro, la forma d’arte che prediligevano sopra tutte, che amavano anche più del cinema, malgrado, come ogni grande attore, riscuotessero consensi anche in questo campo. In particolare era Vivien a mostrarsi insofferente verso quell’ambiente: “Non sono una stella del cinema, sono un’attrice – aveva affermato durante un’intervista al The Guardian – Essere una star del cinema vuol dire condurre una vita falsa, vissuta per valori falsi e per la pubblicità”. Eppure, dopo le interpretazioni che le valsero ben due Oscar, sarebbe stata considerata una grande star anche del firmamento Hollywoodiano.
Con Olivier Vivien avrebbe interpretato a teatro drammi e commedie, sempre con un successo dovuto a un grande affiatamento che non si affievolì negli anni, neanche quando il loro rapporto andò in crisi. Erano indubbiamente due grandi artisti, difficile poter delineare per loro una linea di confine tra finzione scenica e realtà. Ma proprio a teatro, che pure ha indubbie proprietà taumaturgiche per molti aspetti, Laurence si accorse che la sua amata aveva qualcosa di anomalo nel comportamento. Durante la rappresentazione di un Amleto dove curava la regia, mentre Vivien interpretava Ofelia, senza alcuna ragione, lei aveva cominciato a inveire violentemente contro di lui dietro le quinte, preda di un improvviso scatto d’ira. Poi all’improvviso si quietò, divenne silenziosa, e Laurence notò che aveva le pupille dilatate e lo sguardo perso nel vuoto. Subito dopo andò in scena, come se nulla fosse accaduto. Questo genere di intemperanze cominciarono a presentarsi con una certa frequenza nei set e durante le prove degli spettacoli, a volte Vivien se la prendeva senza un apparente motivo con le maestranze, e anche con i registi. Cominciò a crearsi una reputazione di attrice capricciosa e irascibile, con cui non era facile lavorare. Tuttavia, malgrado creasse qualche problema, era dotata di un grande talento, e di una presenza scenica notevole: risultava bella e carismatica, sia a teatro che al cinema. Un sondaggio inglese, all’uscita del film “Via col vento”, la definì “la più bella britannica di tutti i tempi”. Sebbene, come aveva confermato varie volte, preferisse il teatro al cinema, fu il cinema a consacrarla star internazionale, prima con “Via col vento”, nel 1939, che le valse il primo Oscar, poi con “Un tram che si chiama Desiderio”, secondo Oscar, nel 1951. Fu Vivien stessa a proporsi per “Via col vento”: aveva letto il romanzo, e ne era rimasta affascinata. Il produttore David O. Selznick non ebbe difficoltà ad assegnarle la parte: rimase colpito dalla bellezza e dalla professionalità di quell’attrice, che si era formata in una delle accademie di recitazione più prestigiose al mondo. Le riprese furono estenuanti e lunghe, Vivien tra l’altro aveva una dizione perfettamente britannica, e per interpretare Rossella O’ Hara dovette imparare a parlare un americano…”sudista”. Durante la lavorazione ebbe delle discussioni con Clark Gable, al punto che si rifiutò di baciarlo in scena. Malgrado tutto, portò a termine con grande professionalità il suo impegno, e la sua interpretazione sarebbe entrata negli annali della storia del cinema.
Finalmente nel 1940, Jill Esmond e Holman si arresero, concessero il divorzio a Vivien e Laurence che si sposarono subito dopo. Alla cerimonia, in California, erano presenti solo due invitati, i testimoni: l’attrice Katharine Hepburn e lo sceneggiatore Garson Kanin. Gli anni successivi videro la coppia lavorare sempre meno insieme, entrambi coinvolti in tournée, film, eventi teatrali, che spesso li allontanavano. Nel 1943, di ritorno da una tournée in nord Africa, dove Vivien aveva intrattenuto con un recital i militari inglesi, la tragedia: l’attrice si sentì molto male, le fu diagnosticata una grave forma di tubercolosi. Fu curata, ma fortemente indebolita, cadde preda della depressione che ne riacutizzò il disturbo bipolare. Si susseguirono una serie di ricoveri, che misero a dura prova il rapporto con il marito. Fu sottoposta anche a una serie di elettroshock. Vivien in quel periodo credeva di non farcela, si sentiva inadeguata, viveva con un complesso di inferiorità il confronto con il talento di Laurence, che i critici non facevano che sottolineare. Cominciò a tradirlo. Il loro rapporto subì alti e bassi, ma non si lasciarono. Malgrado tutto, il loro era un rapporto indissolubile, fatto di anima oltre che corpo, come Olivier aveva affermato spesso. I due si scrivevano lettere appassionate durante la lontananza, che dimostravano un desiderio incontenibile, soprattutto da parte di lui: “Mi sono svegliato con un furioso desiderio di te, amore mio…buon Dio quanto ti volevo”. Le lettere, centinaia, sono custodite negli archivi del Victoria and Albert Museum, e recentemente sono state pubblicate dal The Guardian. Nonostante la salute cagionevole, Vivien non perse la voglia di tornare sulle scene, e finalmente, diretta dal marito, si cimentò in una memorabile Antigone, all’Old Vic Theatre di Londra. Sul palcoscenico aveva sempre un ammirevole autocontrollo, era perfettamente professionale, e bellissima. Potenza del teatro. In quel periodo una produzione inglese affidò a Olivier la regia del dramma “Un tram che si chiama Desiderio”, di Tennessee Williams. Vivien si propose per interpretare Blanche DuBois, l’eroina fragile e nevrotica. Olivier non avrebbe voluto affidarle la parte, temeva che questo ruolo avrebbe potuto scatenare nella moglie chissà quali reazioni nell’intimo. Nel dramma, a tinte forti, si affrontava il tema dell’abuso, dell’omosessualità, ed era prevista una scena di stupro. Tuttavia cedette, e lo spettacolo fu un successo, proprio grazie alla grande empatia con cui Vivien si era cimentata in quell’interpretazione. Dopo ben 326 repliche teatrali, Elia Kazan l’avrebbe contattata per interpretare Blanche nella versione cinematografica del dramma, a fianco di Marlon Brando.
Anche questa fu un’interpretazione memorabile, che le valse il secondo Oscar. Ma le perplessità di Olivier si dimostrarono profetiche: tra Vivien e Blanche si era creato un legame che andava oltre la finzione, e che pareva condurla verso un baratro di follia. Quell’interpretazione si rivelò un colpo di grazia per la fragile psiche dell’attrice, che oramai si sentiva Blanche, anche fuori dalla scena. Ai medici che la visitarono prima della tragica fine, quando le domandarono se si ricordasse il suo nome, pare avesse risposto: “Naturale. Blanche DuBois”. Sia pure con le varie problematiche legate alla sua salute fisica e psichica, Vivien continuò a lavorare sia per il cinema che per il teatro. Ma lavorare sui set cinematografici le risultava sempre più difficile. La Paramount, dopo il secondo Oscar, la convocò per interpretare “La pista degli elefanti”, ma durante la lavorazione ebbe un’ennesima crisi depressiva, e fu sostituita da Elizabeth Taylor. Oramai le sue condizioni le impedivano di onorare gli ingaggi cinematografici. Per riprendersi dalla depressione, aveva bisogno del potere taumaturgico del teatro. Era quello che pensava anche Olivier, che la coinvolse in una serie di interpretazioni per le commemorazioni Shakespeariane a Stratford-upon-Avon, la cittadina del grande Bardo. L’evento fu un successo, ma durante una delle rappresentazioni, Vivien, che era incinta, ebbe un aborto spontaneo. Fu l’inizio della fine definitiva del rapporto, già molto provato, con il marito. Vivien si sentiva ancora più insicura, inadeguata, e persino infastidita dall’imperturbabile professionalità di lui. Aveva oramai una fama di attrice umorale e inaffidabile, non reggeva il confronto con la grandezza di un marito così ingombrante, malgrado i tanti ammiratori e i due Oscar. Nel 1958 ebbe un flirt con l’attore John Merivale, non lo nascose al marito, e Olivier la lasciò andare.
Amava ancora Vivien, e chiese a Merivale di aver cura di lei, di assumersi la responsabilità di avere una donna così fragile e bisognosa di tante attenzioni. Nel 1960 il divorzio: Olivier avrebbe sposato l’attrice Joan Plowright. Merivale rimase accanto a Vivien sino alla fine. Il 7 luglio del 1967, tornando a casa dopo una recita teatrale, la trovò a terra senza vita. Era caduta cercando di raggiungere il bagno, era collassata per un’emorragia interna causata dalla tubercolosi: una ricaduta fatale. La bellissima Rossella di “Via col vento”, che usava una delle statuette degli Oscar come fermaporta del bagno, e aveva rincorso tutta la vita una felicità mai raggiunta, se ne era andata. Aveva solo 53 anni.